La navetta era
atterrata su Agatha e lui sapeva benissimo che, all'uscita dello spazioporto,
avrebbe trovato ad attenderlo un'auto che l'avrebbe condotto al luogo
d'incontro.
Gli si avvicinò un
uomo con un completo nero su una camicia grigia e un paio di occhiali da sole
con lenti rosse «Matias García?»
Il giovane guardò
l'autista con aria meravigliata e annuì.
«Da questa parte»
disse l'altro.
L'auto era
completamente nera all'esterno e rivestita in pelle marrone all'interno. Sui
poggiatesta dei sedili anteriori c'erano due piccoli schermi su cui, in quel
momento, stava passando il programm giornalistico "Planet News", di
stampo chiaramente Core. Il presentatore, Donald Lywen, si era appena lanciato
in una patetica sviolinata su come la decisione e la caparbietà delle truppe
Unionistiche avesse sventato un altro attacco terroristico da parte dei
Ribelli; il che quasi sicuramente significava che su qualche piccolo pianeta
del Rim era stato cancellato un altro villaggio, in cui si supponeva ci fossero dei rivoltosi. E forse
c'erano, ma insieme a loro anche tanti altri civili, il che gli fece ricordare
il motivo per cui preferiva non avere a che fare con gente dei Core Worlds.
Decise di distrarsi guardando fuori dal finestrino oscurato dell'auto, per non
perdere la pazienza e sparare anche al seggiolino.
Elettra, capitale
del pianeta, era particolarmente famosa per il commercio di tè: non c'era un
solo angolo, per strada, che non fosse contrassegnato da un'insegna o uno
schermo gigante che pubblicizzasse una delle ditte esportatrici della bevanda.
Di lì a poco la
macchina si fermò e l'autista con gli occhiali da sole rossi, scese ad aprirgli
lo sportello. Davanti a lui un gigantesco edificio a vetri pixellati formava un
monumentale schermo su cui venivano riprodotte varie pubblicità della Tea Leaf,
seguita ognuna dal logo dell'azienda. L'autista gli consegnò i due borsoni che
il giovane aveva portato con sé e solo allora si avvicinò un altro uomo con uno
spezzato blu e grigio e una cravatta che richiamava i pantaloni «Mister García?
Prego da questa parte. Può lasciare i bagagli a Leonard, se ne occuperà lui.»
Senza attendere una
sola parola, l'uomo iniziò ad incamminarsi verso le porte girevoli a vetro -
sembrava non ci fosse una sola vite, in quel grattacielo.
All'interno
l'ambiente era ancora più lussuoso e tecnologico di quanto appariva
all'esterno: l'atrio era completamente ricoperto di marmo bianco e nero e
davanti a loro c'erano solo due guardie armate, in supporto ai sensori-scanner,
perfettamente mimetizzati con l'ambiente, in rispetto a un gusto estetico
tutt'altro che casuale. Non appena mise piede all'interno del palazzo una delle
due guardie gli si avvicinò di corsa, ma l'uomo con lo spezzato la fermò
limitandosi a imporre la mano. Il security man si bloccò immediatamente, quindi
si fece da parte e lasciò che i due andassero avanti, comunicando al collega di
farli passare. La sua guida gli spiegò che i sensori-scanner rilevavano
istantaneamente chiunque portasse armi all'interno dell'edificio, inviando
l'immagine e la posizione del malintenzionato agli schermi tenuti sotto
controllo dai due guardiani. Certo il giovane non si stava sforzando di tenere
occultate le sue armi da fuoco, in particolar modo lo shotgun, tranquillamente
legato alla gamba destra.
Gli ascensori, erano
ovviamente panoramici, sia verso l'interno che verso l'esterno, e si muovevano
a una velocità piuttosto elevata, senza però rendere il viaggio in alcun modo
negativo.
Quando finalmente
raggiunsero il piano selezionato, le porte dell'ascensore si aprirono e il
giovane si ritrovò a camminare su una moquet beige che seguiva un corridoio che
costeggiava una serie di uffici le cui pareti erano, inutile dirlo, in vetro
anch'esse. Infondo al corridoio c'era l'unica stanza, chiaramente più grande
delle altre a giudicare da come si incastrava nella planimetria del piano, con
due porte di legno scuro. La segretaria avvisò dall'interfono l'occupante dello
studio, mentre veniva superata senza una sola parola da Mat e dalla sua guida
silenziosa. Quest'ultima bussò su una delle ante e aprì solo quando
dall'interno gli venne dato il permesso. Il giovane dalla cravatta blu spalancò
la porta, attese che il giovane fosse entrato e poi la richiuse uscendo.
«Lei dev'essere il
signor García, non è vero?»
«In persona. E lei
immagino sia mister Sharp.»
«In carne e ossa»
disse mentre stringeva la mano al nuovo arrivato «Mi fa piacere constatare che
si è informato, prima di accettare l'invito. La prego si sieda. Posso offrirle
qualcosa da bere?»
«Scotch, grazie.
L'agenzia di Contractors per cui lavoro non è solita muoversi senza aver prima
raccolto le dovute informazioni in merito ai suoi clienti.»
Lo studio era enorme
quattro volte gli uffici lungo il corridoio. Lì dentro tutto era marrone, a
iniziare dalla moquet, che subito dall'ingresso assumeva un colore nettamente
più scuro, e poi le poltrone, il divano, i mobili e persino la rappresentazione
in legno di tutto il sistema solare Central, con ogni pianeta che galleggiava
nell'aria mantenuto da piccoli dischi metallici, fissati sul pavimento, che
producevano un debole campo di forza necessario a impedire alle sfere di legno
di cadere. La più grossa era grande quanto un'anguria.
L'unica cosa che
risaltava, lì dentro, era il completo di Otis Sharp: giacca ed eleganti
pantaloni in stile orientali dal colore grigio chiaro, quasi tendente al beige
della moquet nel corridoio. Sulla schiena la stampa di un laghetto di fiori di
loto con cascata, i cui colori principali erano il rosso e l'oro, e che
continuava fino alla falda destra del soprabito.
«Mi ha detto che non
è qui in veste di Phantom, signor García.»
«Infatti. Sono
indipendente, ma mi è stata data la possibilità di utilizzare i loro sistemi
d'informazione, per sapere qualcosa sulla vostra azienda.»
«Ha trovato niente
di particolare?»
«No, ma mi pare di
capire che non incontrerò mai Mr. Cawnpore.» Allungò il braccio per recuperare
il suo bicchiere di Scotch, il cui colore si intonava magnificamente al resto
della stanza.
Sharp prese posto
sul divanetto di fronte al suo «Preferisce farsi chiamare Mr. Alex.»
«Credevo fosse una
priorità solo per quelli che lo conoscono meglio.»
«Per i suoi
dipendenti» lo corresse l'altro «E se lei accetta l'incarico che le stiamo
offrendo, diventerà ufficialmente un nostro dipendente.»
«Di che si tratta,
allora?»
L'uomo spinse un
solo comando sul suo cortex pad e il tavolino che li divideva si illuminò
interamente, permettendo a Sharp di visualizzare una serie di file,
direttamente all'interno del mobile, muovendo le sue curatissime dita
direttamente sul vetro del piccole mobile. Ne trovò uno, quindi lo ingrandì e
ruotò la mano come se ci fosse effettivamente un foglio su quel piano.
L'immagine si girò e si spostò verso Matias, seguendo le dita del vice
responsabile della Tea Leaf.
Il Solo guardò la
foto di una donna e di una bambina, per strada. A una rapida occhiata la prima
non avrebbe potuto avere più di venticinque anni, la seconda più di quattro.
Dopo un istante sollevò di nuovo lo sguardo sul suo interlocutore che gli
chiese: «Ha idea di chi siano, Mr. García?»
«No, non direi.»
L'altro annuì e
bevve un sorso dal suo bicchiere «Se lei accetta l'incarico, nessuno dovrà più
porsi il problema.»
Matias rimase in
silenzio a guardare il volto perfettamente curato di Otis Sharp: aveva solo un
paio di baffetti appuntiti e una minuscola striscia di peli sotto il labbro,
esattamente alla moda orientale. Dalle informazioni che aveva su di lui
quell'uomo aveva cinquantadue anni, ma ne dimostrava qualcuno di meno. Gli
occhi azzurri, evidentemente vispi, non sembravano tradire alcuna emozione e
quello sembrò bastare al giovane per posare il bicchiere accanto al file e
alzarsi dal divano.
«Non uccido né donne
né bambini, Mr. Sharp» non salutò e non chiese nemmeno scusa per la perdita di
tempo, come avrebbe fatto con qualsiasi altro cliente. Semplicemente si avviò
verso la porta.
«Allora le
protegga.»
Il Solo si fermò e
si voltò a guardarlo. Sharp continuò: «Sono Phelicya e Roberta Karlton.
Ventisette e tre anni e il nostro desiderio non è mai stato quello di
eliminarle. Erik Karlton era invischiato in qualcosa di illegale che aveva a
che fare con il contrabbando di tè. Quattro anni fa, ci accorgemmo che i
registri di consegna della merce venivano "ritoccati" e che diversi
chili di merce, scomparivano tra un viaggio e l'altro. Indagammo sulla
questione e ci accorgemmo che Erik e altri due dipendenti della Tea Leaf,
avevano agganci con gente poco raccomandabile a cui venivano venduti non pochi
carichi di tè.»
«Droga.»
Sharp annuì con
rassegnazione «Già da qualche mese prima alcune miscele di tè venivano
utilizzate per sintetizzare sostanze stupefacenti, tramite una rielaborazione
chimica delle foglie che contenevano una quantità di teina più elevata rispetto
ad altre.»
«Non mi ha ancora
detto il motivo per cui io debba proteggere quella donna e sua figlia.»
«La miscela in
questione fu ritirata, quattro anni fa, quando scoprimmo la gravità della cosa.
Karlton e i suoi complici furono licenziati e denunciati, ma Erik riuscì a
fuggire e qualche mese dopo portò a termine un colpo che gli permise di mettere
le mani sui nostri progetti per la creazione del tè incriminato. La notte
stessa in cui avvenne il furto, Karlton perse la vita, ma temiamo che sia
riuscito ad arrivare a sua moglie e a sua figlia e a consegnare loro il
progetto.
«Sono tre anni e
mezzo che non si vede più in giro per il 'Verse quel tipo di droga , ma temiamo
che ci sia ancora qualcuno che cerca di sintetizzarla e da qualche tempo la
moglie di Erik viene contattata e minacciata da sconosciuti. È inutile che le
dica, Mr. García, che la preoccupazione di Mr. Alex non è solo quella che la
droga possa ripresentarsi sul Mercato Nero macchiando la reputazione della
nostra azienda, ma anche che i media possano ricamare sulla morte di questa
donna, una storia che ci costringerà a batterci nei tribunali di tutto il
sistema Corona, facendoci perdere denaro, tempo e clienti.»
Sharp riprese ad
aprire altri file muovendo le dita sul vetro del tavolinetto e di nuovo passò
un foglio virtuale in direzione di quello che fino a qualche attimo fa era il
posto del suo ospite, che senza muoversi riprese a parlare: «Cosa vi dà la
garanzia che io non sfrutti l'occasione per trovare questo fantomatico progetto
e non pianti un coltello tra le scapole della Tea Leaf?»
«Lei e la Phantom
Contracotrs ci siete stati consigliati da altre aziende nei Core Worlds che
hanno elogiato la professionalità e la serietà dei dipendenti della ditta per
cui lavora. Sulle sue spalle poggia la reputazione della compagnia a cui
appartiene e dei suoi dipendenti.»
«Lei sa da dove
vengo, Mr. Sharp, saprà sicuramente che abbiamo combattuto su due fronti
opposti del campo di battaglia: i lavori che abbiamo fatto per conto di altre
persone, qui nel Sistema Corona, erano lavori di poco conto rispetto a quello
che mi sta offrendo e di certo potrei diventare un uomo ricco, se decidessi di
voltarvi le spalle.»
L'uomo non si
scompose, bevve l'ultimo sorso dal bicchiere facendo tintinnare il ghiaccio e
allungò una mano verso il divano, incoraggiando il suo interlocutore a sedersi
di nuovo «La inviterei a visionare il contratto, prima di pensare a qualsiasi
altra fonte di ricchezza: la Tea Leaf tratta bene i suoi dipendenti e se
dovesse accettare l'accordo, diventerebbe a tutti gli effetti un nostro
dipendente, come le ho già detto. Erik Karlton stava cercando di tenere due
piedi in una scarpa e anche lei sa, adesso, com'è andata a finire. Lei non è
stupido, Mr. García, e non farà le stesse mosse che hanno portato Karlton alla
morte.»
Matias rimase fermo
ancora un istante, prima di avvicinarsi di nuovo al divano, sedersi, e guardare
sul vetro del tavolinetto l'ultimo file che gli era stato passato. Era un solo
foglio elettronico anche piuttosto stringato e il giovane non ebbe bisogno di
molto tempo per visionarlo tutto.
«Come vede, se lei
dovesse tradire noi per mettersi a fare il trafficante di droga, probabilmente
ci guadagnerebbe meno di quello che le offre la Tea Leaf.» Sharp non si era
mosso dalla sua posizione, fino a quel momento in cui si sporse verso il suo
ospite, intrecciando le dita e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
«Sapete essere
piuttosto convincente, Mr. Sharp, questo ve lo devo.»
Il cinquantaduenne
sorrise e si alzò dal divano, per dirigersi verso la pesante scrivania di legno
intarsiato e recuperò un oggetto che porse a Matias. Il giovane, dal canto suo,
aveva già premuto il pollice all'altezza del punto in cui sarebbe dovuta comparire
la sua firma, ma questo sembrava non essere stato sufficiente per siglare il
contratto. Prese ciò che gli veniva offerto, ma lo guardò senza capire di cosa
si trattasse.
«È ancora un
prototipo, ma al momento sembra funzionare così bene che l'abbiamo reso
fondamentale per redigere contratti di lavoro. È uno scanner oculare.»
Il giovane guardò
prima il suo interlocutore con aria meravigliata, quindi di nuovo lo scanner.
Non gli ci volle molto a capire come potesse funzionare, quindi avvicinò quella
specie di obiettivo all'occhio e guardò fisso all'interno. Un minuscolo puntino
azzurro diventò più largo di meno di un millimetro, in meno di un secondo, poi
non accadde più nulla. Il nome, comparso nello spazio adibito alla sua firma,
divenne verde per un breve attimo dopodiché scomparve anche il riquadro adibito
alla rilevazione dell'impronta digitale. Ora sul foglio elettronico compariva
la sua firma come se fosse stata scritta a mano.
«Bene, Mr. García,
credo che questo sia tutto.» Sharp recuperò il foglio virtuale, si assicurò che
effettivamente ci fosse scritto il nome dell'ospite, quindi si alzò, si
aggiustò la lunga giacca dal taglio orientale e iniziò a camminare verso la
porta. Il giovane lo seguì fino all'uscio.
«Troverà tutto
disposto affinché possa iniziare il suo lavoro oggi stesso. A rivederci, Mr.
García e se dovesse avere bisogno di qualcosa di particolare, ci faccia sapere,
vedremo di fare il possibile.»
«Spero non ce ne sia
bisogno» rispose l'altro stringendogli la mano «a rivederci.»
All'ingresso trovò
ad attenderlo lo stesso giovane con la cravatta blu e lo spezzato, pronto a
riprendere la passeggiata.