martedì 29 gennaio 2013

La guardia del corpo - Parte I


La navetta era atterrata su Agatha e lui sapeva benissimo che, all'uscita dello spazioporto, avrebbe trovato ad attenderlo un'auto che l'avrebbe condotto al luogo d'incontro.
Gli si avvicinò un uomo con un completo nero su una camicia grigia e un paio di occhiali da sole con lenti rosse «Matias García?»
Il giovane guardò l'autista con aria meravigliata e annuì.
«Da questa parte» disse l'altro.
L'auto era completamente nera all'esterno e rivestita in pelle marrone all'interno. Sui poggiatesta dei sedili anteriori c'erano due piccoli schermi su cui, in quel momento, stava passando il programm giornalistico "Planet News", di stampo chiaramente Core. Il presentatore, Donald Lywen, si era appena lanciato in una patetica sviolinata su come la decisione e la caparbietà delle truppe Unionistiche avesse sventato un altro attacco terroristico da parte dei Ribelli; il che quasi sicuramente significava che su qualche piccolo pianeta del Rim era stato cancellato un altro villaggio, in cui si supponeva ci fossero dei rivoltosi. E forse c'erano, ma insieme a loro anche tanti altri civili, il che gli fece ricordare il motivo per cui preferiva non avere a che fare con gente dei Core Worlds. Decise di distrarsi guardando fuori dal finestrino oscurato dell'auto, per non perdere la pazienza e sparare anche al seggiolino.
Elettra, capitale del pianeta, era particolarmente famosa per il commercio di tè: non c'era un solo angolo, per strada, che non fosse contrassegnato da un'insegna o uno schermo gigante che pubblicizzasse una delle ditte esportatrici della bevanda.
Di lì a poco la macchina si fermò e l'autista con gli occhiali da sole rossi, scese ad aprirgli lo sportello. Davanti a lui un gigantesco edificio a vetri pixellati formava un monumentale schermo su cui venivano riprodotte varie pubblicità della Tea Leaf, seguita ognuna dal logo dell'azienda. L'autista gli consegnò i due borsoni che il giovane aveva portato con sé e solo allora si avvicinò un altro uomo con uno spezzato blu e grigio e una cravatta che richiamava i pantaloni «Mister García? Prego da questa parte. Può lasciare i bagagli a Leonard, se ne occuperà lui.»
Senza attendere una sola parola, l'uomo iniziò ad incamminarsi verso le porte girevoli a vetro - sembrava non ci fosse una sola vite, in quel grattacielo.
All'interno l'ambiente era ancora più lussuoso e tecnologico di quanto appariva all'esterno: l'atrio era completamente ricoperto di marmo bianco e nero e davanti a loro c'erano solo due guardie armate, in supporto ai sensori-scanner, perfettamente mimetizzati con l'ambiente, in rispetto a un gusto estetico tutt'altro che casuale. Non appena mise piede all'interno del palazzo una delle due guardie gli si avvicinò di corsa, ma l'uomo con lo spezzato la fermò limitandosi a imporre la mano. Il security man si bloccò immediatamente, quindi si fece da parte e lasciò che i due andassero avanti, comunicando al collega di farli passare. La sua guida gli spiegò che i sensori-scanner rilevavano istantaneamente chiunque portasse armi all'interno dell'edificio, inviando l'immagine e la posizione del malintenzionato agli schermi tenuti sotto controllo dai due guardiani. Certo il giovane non si stava sforzando di tenere occultate le sue armi da fuoco, in particolar modo lo shotgun, tranquillamente legato alla gamba destra.
Gli ascensori, erano ovviamente panoramici, sia verso l'interno che verso l'esterno, e si muovevano a una velocità piuttosto elevata, senza però rendere il viaggio in alcun modo negativo.
Quando finalmente raggiunsero il piano selezionato, le porte dell'ascensore si aprirono e il giovane si ritrovò a camminare su una moquet beige che seguiva un corridoio che costeggiava una serie di uffici le cui pareti erano, inutile dirlo, in vetro anch'esse. Infondo al corridoio c'era l'unica stanza, chiaramente più grande delle altre a giudicare da come si incastrava nella planimetria del piano, con due porte di legno scuro. La segretaria avvisò dall'interfono l'occupante dello studio, mentre veniva superata senza una sola parola da Mat e dalla sua guida silenziosa. Quest'ultima bussò su una delle ante e aprì solo quando dall'interno gli venne dato il permesso. Il giovane dalla cravatta blu spalancò la porta, attese che il giovane fosse entrato e poi la richiuse uscendo.
«Lei dev'essere il signor García, non è vero?»
«In persona. E lei immagino sia mister Sharp.»
«In carne e ossa» disse mentre stringeva la mano al nuovo arrivato «Mi fa piacere constatare che si è informato, prima di accettare l'invito. La prego si sieda. Posso offrirle qualcosa da bere?»
«Scotch, grazie. L'agenzia di Contractors per cui lavoro non è solita muoversi senza aver prima raccolto le dovute informazioni in merito ai suoi clienti.»
Lo studio era enorme quattro volte gli uffici lungo il corridoio. Lì dentro tutto era marrone, a iniziare dalla moquet, che subito dall'ingresso assumeva un colore nettamente più scuro, e poi le poltrone, il divano, i mobili e persino la rappresentazione in legno di tutto il sistema solare Central, con ogni pianeta che galleggiava nell'aria mantenuto da piccoli dischi metallici, fissati sul pavimento, che producevano un debole campo di forza necessario a impedire alle sfere di legno di cadere. La più grossa era grande quanto un'anguria.
L'unica cosa che risaltava, lì dentro, era il completo di Otis Sharp: giacca ed eleganti pantaloni in stile orientali dal colore grigio chiaro, quasi tendente al beige della moquet nel corridoio. Sulla schiena la stampa di un laghetto di fiori di loto con cascata, i cui colori principali erano il rosso e l'oro, e che continuava fino alla falda destra del soprabito.
«Mi ha detto che non è qui in veste di Phantom, signor García.»
«Infatti. Sono indipendente, ma mi è stata data la possibilità di utilizzare i loro sistemi d'informazione, per sapere qualcosa sulla vostra azienda.»
«Ha trovato niente di particolare?»
«No, ma mi pare di capire che non incontrerò mai Mr. Cawnpore.» Allungò il braccio per recuperare il suo bicchiere di Scotch, il cui colore si intonava magnificamente al resto della stanza.
Sharp prese posto sul divanetto di fronte al suo «Preferisce farsi chiamare Mr. Alex.»
«Credevo fosse una priorità solo per quelli che lo conoscono meglio.»
«Per i suoi dipendenti» lo corresse l'altro «E se lei accetta l'incarico che le stiamo offrendo, diventerà ufficialmente un nostro dipendente.»
«Di che si tratta, allora?»
L'uomo spinse un solo comando sul suo cortex pad e il tavolino che li divideva si illuminò interamente, permettendo a Sharp di visualizzare una serie di file, direttamente all'interno del mobile, muovendo le sue curatissime dita direttamente sul vetro del piccole mobile. Ne trovò uno, quindi lo ingrandì e ruotò la mano come se ci fosse effettivamente un foglio su quel piano. L'immagine si girò e si spostò verso Matias, seguendo le dita del vice responsabile della Tea Leaf.
Il Solo guardò la foto di una donna e di una bambina, per strada. A una rapida occhiata la prima non avrebbe potuto avere più di venticinque anni, la seconda più di quattro. Dopo un istante sollevò di nuovo lo sguardo sul suo interlocutore che gli chiese: «Ha idea di chi siano, Mr. García?»
«No, non direi.»
L'altro annuì e bevve un sorso dal suo bicchiere «Se lei accetta l'incarico, nessuno dovrà più porsi il problema.»
Matias rimase in silenzio a guardare il volto perfettamente curato di Otis Sharp: aveva solo un paio di baffetti appuntiti e una minuscola striscia di peli sotto il labbro, esattamente alla moda orientale. Dalle informazioni che aveva su di lui quell'uomo aveva cinquantadue anni, ma ne dimostrava qualcuno di meno. Gli occhi azzurri, evidentemente vispi, non sembravano tradire alcuna emozione e quello sembrò bastare al giovane per posare il bicchiere accanto al file e alzarsi dal divano.
«Non uccido né donne né bambini, Mr. Sharp» non salutò e non chiese nemmeno scusa per la perdita di tempo, come avrebbe fatto con qualsiasi altro cliente. Semplicemente si avviò verso la porta.
«Allora le protegga.»
Il Solo si fermò e si voltò a guardarlo. Sharp continuò: «Sono Phelicya e Roberta Karlton. Ventisette e tre anni e il nostro desiderio non è mai stato quello di eliminarle. Erik Karlton era invischiato in qualcosa di illegale che aveva a che fare con il contrabbando di tè. Quattro anni fa, ci accorgemmo che i registri di consegna della merce venivano "ritoccati" e che diversi chili di merce, scomparivano tra un viaggio e l'altro. Indagammo sulla questione e ci accorgemmo che Erik e altri due dipendenti della Tea Leaf, avevano agganci con gente poco raccomandabile a cui venivano venduti non pochi carichi di tè.»
«Droga.»
Sharp annuì con rassegnazione «Già da qualche mese prima alcune miscele di tè venivano utilizzate per sintetizzare sostanze stupefacenti, tramite una rielaborazione chimica delle foglie che contenevano una quantità di teina più elevata rispetto ad altre.»
«Non mi ha ancora detto il motivo per cui io debba proteggere quella donna e sua figlia.»
«La miscela in questione fu ritirata, quattro anni fa, quando scoprimmo la gravità della cosa. Karlton e i suoi complici furono licenziati e denunciati, ma Erik riuscì a fuggire e qualche mese dopo portò a termine un colpo che gli permise di mettere le mani sui nostri progetti per la creazione del tè incriminato. La notte stessa in cui avvenne il furto, Karlton perse la vita, ma temiamo che sia riuscito ad arrivare a sua moglie e a sua figlia e a consegnare loro il progetto.
«Sono tre anni e mezzo che non si vede più in giro per il 'Verse quel tipo di droga , ma temiamo che ci sia ancora qualcuno che cerca di sintetizzarla e da qualche tempo la moglie di Erik viene contattata e minacciata da sconosciuti. È inutile che le dica, Mr. García, che la preoccupazione di Mr. Alex non è solo quella che la droga possa ripresentarsi sul Mercato Nero macchiando la reputazione della nostra azienda, ma anche che i media possano ricamare sulla morte di questa donna, una storia che ci costringerà a batterci nei tribunali di tutto il sistema Corona, facendoci perdere denaro, tempo e clienti.»
Sharp riprese ad aprire altri file muovendo le dita sul vetro del tavolinetto e di nuovo passò un foglio virtuale in direzione di quello che fino a qualche attimo fa era il posto del suo ospite, che senza muoversi riprese a parlare: «Cosa vi dà la garanzia che io non sfrutti l'occasione per trovare questo fantomatico progetto e non pianti un coltello tra le scapole della Tea Leaf?»
«Lei e la Phantom Contracotrs ci siete stati consigliati da altre aziende nei Core Worlds che hanno elogiato la professionalità e la serietà dei dipendenti della ditta per cui lavora. Sulle sue spalle poggia la reputazione della compagnia a cui appartiene e dei suoi dipendenti.»
«Lei sa da dove vengo, Mr. Sharp, saprà sicuramente che abbiamo combattuto su due fronti opposti del campo di battaglia: i lavori che abbiamo fatto per conto di altre persone, qui nel Sistema Corona, erano lavori di poco conto rispetto a quello che mi sta offrendo e di certo potrei diventare un uomo ricco, se decidessi di voltarvi le spalle.»
L'uomo non si scompose, bevve l'ultimo sorso dal bicchiere facendo tintinnare il ghiaccio e allungò una mano verso il divano, incoraggiando il suo interlocutore a sedersi di nuovo «La inviterei a visionare il contratto, prima di pensare a qualsiasi altra fonte di ricchezza: la Tea Leaf tratta bene i suoi dipendenti e se dovesse accettare l'accordo, diventerebbe a tutti gli effetti un nostro dipendente, come le ho già detto. Erik Karlton stava cercando di tenere due piedi in una scarpa e anche lei sa, adesso, com'è andata a finire. Lei non è stupido, Mr. García, e non farà le stesse mosse che hanno portato Karlton alla morte.»
Matias rimase fermo ancora un istante, prima di avvicinarsi di nuovo al divano, sedersi, e guardare sul vetro del tavolinetto l'ultimo file che gli era stato passato. Era un solo foglio elettronico anche piuttosto stringato e il giovane non ebbe bisogno di molto tempo per visionarlo tutto.
«Come vede, se lei dovesse tradire noi per mettersi a fare il trafficante di droga, probabilmente ci guadagnerebbe meno di quello che le offre la Tea Leaf.» Sharp non si era mosso dalla sua posizione, fino a quel momento in cui si sporse verso il suo ospite, intrecciando le dita e poggiando i gomiti sulle ginocchia.
«Sapete essere piuttosto convincente, Mr. Sharp, questo ve lo devo.»
Il cinquantaduenne sorrise e si alzò dal divano, per dirigersi verso la pesante scrivania di legno intarsiato e recuperò un oggetto che porse a Matias. Il giovane, dal canto suo, aveva già premuto il pollice all'altezza del punto in cui sarebbe dovuta comparire la sua firma, ma questo sembrava non essere stato sufficiente per siglare il contratto. Prese ciò che gli veniva offerto, ma lo guardò senza capire di cosa si trattasse.
«È ancora un prototipo, ma al momento sembra funzionare così bene che l'abbiamo reso fondamentale per redigere contratti di lavoro. È uno scanner oculare.»
Il giovane guardò prima il suo interlocutore con aria meravigliata, quindi di nuovo lo scanner. Non gli ci volle molto a capire come potesse funzionare, quindi avvicinò quella specie di obiettivo all'occhio e guardò fisso all'interno. Un minuscolo puntino azzurro diventò più largo di meno di un millimetro, in meno di un secondo, poi non accadde più nulla. Il nome, comparso nello spazio adibito alla sua firma, divenne verde per un breve attimo dopodiché scomparve anche il riquadro adibito alla rilevazione dell'impronta digitale. Ora sul foglio elettronico compariva la sua firma come se fosse stata scritta a mano.
«Bene, Mr. García, credo che questo sia tutto.» Sharp recuperò il foglio virtuale, si assicurò che effettivamente ci fosse scritto il nome dell'ospite, quindi si alzò, si aggiustò la lunga giacca dal taglio orientale e iniziò a camminare verso la porta. Il giovane lo seguì fino all'uscio.
«Troverà tutto disposto affinché possa iniziare il suo lavoro oggi stesso. A rivederci, Mr. García e se dovesse avere bisogno di qualcosa di particolare, ci faccia sapere, vedremo di fare il possibile.»
«Spero non ce ne sia bisogno» rispose l'altro stringendogli la mano «a rivederci.»
All'ingresso trovò ad attenderlo lo stesso giovane con la cravatta blu e lo spezzato, pronto a riprendere la passeggiata. 

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